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BIENNALE 2019

  • Immagine del redattore: Silvia
    Silvia
  • 3 ott 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Biennale 2019. Come ogni anno visita compiuta in seguito ad uno slancio vitale dato dall'urlo dall'inconscio che, periodicamente, sbraita: 'ma alza il culo e fai qualcosa di culturalmente valido nella tua vita, cretina!'.


Sveglia, sveglia posticipata, sveglia posticipata ancora, caffè, treno, qualcosa di molto simile a Impression Soleil Levant, profumo di mare, caos, baci, caffè, sigaretta.

La giornata è iniziata più o meno così.


Fatalità oggi è un soleggiato sabato di fine settembre e questo si traduce in fiumi di turisti che invadono le calli di Venezia e, di conseguenza, un arsenale che pullula di curiosi.

E' da qui che vorrei iniziare il mio tentativo di mettere ordine ai pensieri e alle considerazioni che hanno preso forma durante la giornata di oggi.

Biennale, com'è ben noto, è un progetto dall'incredibile risonanza mondiale.

La sua prima edizione si tenne nel 1895, grazie a una geniale intuizione dell’allora sindaco di Venezia che intendeva riscattare la città dalla nostalgia di una gloria perduta e aprirsi alla modernità. Da allora Venezia ha assunto un ruolo ben preciso come vetrina privilegiata delle tendenze dell’arte contemporanea mondiale


Biennale è un gioiellino non inflazionato dall'accessibilità intellettuale, nel bene e nel male.

Mi spiego meglio.

La mostra, aperta al grande pubblico, non sembra però diretta ad un grande pubblico, che non ha, e a cui non vengono dati, gli strumenti per capirla.

E' un evento per una nicchia di eletti che nella vita ha avuto la fortuna di studiare e approfondire determinate branche culturali, in maniera tale da sviluppare uno spirito critico anche nei confronti di ciò che è nuovo, di ciò che ancora non è stato analizzato, criticato, recensito ampiamente e reso di conseguenza alla portata di tutti.

Nel labirinto dell'arte moderna come si può orientare uno spettatore che è spinto dal desiderio di emanciparsi culturalmente ma che viene ostacolato dall'inaccessibilità del suo stesso obiettivo?

Didatticamente parlando questa mostra è un fallimento. Le targhe illustrative sono misere, non c'è la possibilità di usufruire di audioguide, l'unica soluzione è sottostare ad una guida che probabilmente proporrà un percorso preimpostato.


Non è contraddittorio proporre e pubblicizzare artisti e fotografi con una tale cura, per poi vanificare il tutto azzerando l'impatto comunicativo poiché il visitatore non ha gli strumenti per stabilire una connessione con quest'ultimi?

E' una strategia di marketing per aumentare l'attrattiva della mostra o una strategia economica per spingere i visitatori ad investire in una visita guidata, nettamente più dispendiosa?

Così facendo, specialmente per i giovani, lo scopo della visita, alla fine, si riduce ad un misero 'così posso dire di esserci andato'.

Tradotto: poter postare una storia su Instagram di un'installazione stravagante di cui non si è capito assolutamente nulla.

Tipo la foto di copertina di questo articolo, per capirci.


C'è un netto sbilanciamento, di conseguenza, tra ciò che colpisce perché scenografico e ciò che dovrebbe colpire perchè in grado di destreggiarsi con equilibrio tra scenografia e intento comunicativo.

Tradotto: Non serve alcun tipo di conoscenza pregressa per rimanere impressionati da un gigantesco robot che spennella sangue sul pavimento, ma un minimo di background sul significato dell'opera serve eccome se il soggetto in questione è un gigante sassone giallo in mezzo ad una stanza.

L'arte è nata per cambiare, stravolgere, sconvolgere, turbare, protestare, e la suddetta agisce a macchia d'olio, insediando il seme del dubbio in chiunque ne recepisca il messaggio.

Dopo aver studiato in maniera molto didascalica come questo è avvenuto con l'arte del passato, dopo aver masticato le ideologie, i progressi e i drammi di secoli che non sono quello in cui viviamo, ci troviamo a non poter essere partecipi della perpetrazione di questo obiettivo comune. La conoscenza artistica delle persone ordinarie finisce laddove la scuola smette di rivendicare il suo diritto di renderci delle persone più ricche e ci lascia in balia delle nostre stesse decisioni riguardo il nostro percorso futuro.

E' vero che interiorizzare l'arte a pieno non è interesse di chiunque ma tra di noi c'è chi ha fame di capire, di lasciarsi investire dalla forza e dalla violenza dell'arte del nostro tempo.

Nel momento in cui questo requisito è presente è indispensabile uno strumento che ci permetta di collegare e conciliare la nostra percezione dell'oggetto artistico con il suo scopo e il processo creativo che l'ha partorito. Senza quest'ultimo tutto questo sforzo per emanciparsi culturalmente diventa vano.

Senza linee guida l'arte diventa un status e non una risorsa. E diventare uno status è tutto ciò che arte non è, poiché essa nasce dove c'è disagio, attrito, controversia, ribellione interiore.


RIASSUMENDO

Paghiamo 25 euro per entrare, almeno fateci capire cosa cazzo stiamo vedendo e mettete le audiogiude decerebrati.


AVEVO FATTO ANCHE UNA PARENTESI DOVE ANALIZZAVO I VARI TEMI DELLA MOSTRA MA MI SI E' CANCELLATA ERA CARINA MA NON AVEVO VOGLIA DI RISCRIVERLA ESKERE ROBA SULLA VIOLENZA DELLA LUCE E SULLE CONTRADDIZIONI DEL POTERE THUGLIFE


 
 
 

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