PEAKY FUCKING BLINDERS
- Silvia
- 3 dic 2019
- Tempo di lettura: 5 min

Appena finito la quinta, attesissima stagione.
Era tanto, tanto tempo che non mi imbattevo in una serie così ben fatta, che riuscisse a farmi provare qualcosa di intenso. Grazie Peaky fucking blinders.
Small Heath, Birmingham. La famiglia Shelby è finalmente riunita, la prima guerra mondiale è terminata e nessuno è più lo stesso.
Non c'è tempo per leccarsi le ferite o per compiangere ciò che si è perso, c'è tempo solo per andare avanti.
Thomas Shelby infatti, tenebroso, imperturbabile e complesso protagonista, è a capo di una gang criminale, la sua famiglia, che detiene il potere nel quartiere e che, intuitivamente, lo deterrà poi anche nella città intera.
Questo personaggio controverso, animato dal nobile obiettivo di rendere il suo business legale, anche se tramite una spietatezza e una violenza che di nobile hanno ben poco, è un cattivo buono. O un buono cattivo. E forse è proprio grazie a questo continuo swing tra due facce della stessa medaglia che esercita su tutti noi, indipendentemente dal sesso di chi lo subisce, un fascino così magnetico.
La serie, composta da 5 (per ora) stagioni da 6 puntate di circa un'ora ciascuna, si presenta come un dramma familiare che di convenzionale ha ben poco. Questo format di base sicuramente non è innovativo, ma ha il pregio di essere molto plastico, sopporta magnificamente tutte le variazioni sul tema, rispetto al modello convenzionale, che Steven Knight apporta.
La trama non scade nel banale e non si impoverisce proseguendo con le stagioni, e la ragione di questo successo, a parer mio, sta nell'ingrediente che più spesso viene sottovalutato: la semplicità. Da parte dei produttori non si ha avuto la pretesa infatti di rimpinguare la trama di dettagli inutili e intrighi più elaborati del dovuto. Non ci sono orpellosità ridondanti o capriole narrative insensate.
Lo sviluppo della serie, da tutti i punti di vista, sembra essere stato cucito addosso alla personalità di Tommy Shelby: tenebroso, con pochi ma incisivi dialoghi, cupo ma violento, silenzioso ma comunicativo (in questo caso grazie ad un sapiente utilizzo della comunicazione non verbale e della scenografia come interprete e traduttore dei sentimenti dei protagonisti).
L'utilizzo delle luci, delle variazioni metereologiche, di elementi come l'acqua, il fango, la polvere, il fuoco, sembrano cantare a loro volta le disgrazie dei personaggi, riflettendo il loro tormento interiore.
La storia di questa famiglia risulta sorprendentemente realistica, non tanto per i fatti in se, quanto più per il bilanciamento tra la quantità di gioia, ma soprattutto di dolore, presente nella vita dei personaggi. Ricalca infatti la dicotomia presente in una vita reale, dove ne la felicità nel la sofferenza compaiono in momenti strategici, ma ci piombano addosso violentemente e inaspettatamente, senza regole e senza par condicio.
Sono emblematici quindi i personaggi di Arthur, Esme, Polly, Tommy, Ada, complessi ed infelici, ma allo stesso tempo goliardici e provocatori.
Avrei apprezzato un maggiore approfondimento dei personaggi di Linda, crocerossina manipolatrice, Lizzie, reietta a cui è stata data nuova vita ma il cui temperamento rimane fortemente radicato nelle sue origini, o Alfie. In particolare quest'ultimo personaggio, che altro non è che la nemesi di Tommy, è uno dei meglio riusciti. Non si è scavato nei meandri della sua personalità come avrei voluto, ma riesce a risultare comunque sempre provocatore e arguto, chiacchierone ma scaltro. Anche lui trova sempre un modo per scamparla, ma non riuscirà mai ad eludere la forte autocommiserazione da cui non riesce a fuggire.
Di particolare interesse, in vista della prossima stagione, rimane il magistrale Sam Clafin, nei panni dell'agghiacciante Oswald Mosley. Per ora rimane solo un 'cattivissimo', il cui narcisismo, gloria agli sceneggiatori, non necessita di particolari dialoghi se a farne manifesto ci sono scene dove quest'ultimo copula con LA cigno nero, sottomettendola con violenza e compiacendosi ammirandosi allo specchio durante l'atto. Dalla sesta stagione mi aspetto sicuramente uno svisceramento di questo personaggio dalle grandissime premesse.
Deludenti sono invece Finn, la cui tenera età non giustifica la piattezza del personaggio, John, fantoccio senza lode e senza infamia e Michael, dalle grandi potenzialità poco sfruttate.
Sicuramente lo stendardo della mediocrità è innalzato con arroganza da Grace, che gli sceneggiatori hanno avuto il buon cuore di togliere di mezzo non appena si sono resi conto che stesse diventando null'altro che una enorme, ingombrante e totalmente non necessaria pigna nel culo. Molto meglio nobilitarla ad un ricordo che persevera nel corrodere pian piano la vita di qualcun altro, piuttosto che annoiarci con le sue vicissitudini sconclusionate.
Peaky Blinders è una serie cupa, violenta, macabra, ma che nel suo essere così visceralmente cruda da un grande spazio alle donne, le comprende nel suo gioco meschino, fa tenere loro le redini di questi giochi di potere e mette nelle loro mani la capacità di ponderare gli equilibri che regolano le vicissitudini degli Shelby's. Basta pensare all'evoluzione di Lizzie, sgualdrina da quattro soldi che arriva non solo ad essere il braccio destro di Tommy, ma anche sua moglie, Esme, rappresentante in gabbia di un mondo libero, trattenuta dall'amore per John, ma che alla fine non ripudierà la sua natura, Ada, rivoluzionaria fallita soprattutto nel rinnegare una famiglia di cui, per indole, farà sempre parte e Polly, unica vera regina. Questo personaggio è la versione rivisitata di una matriarca non convenzionale, un punto di riferimento e l'emblema di una donna forte che non ha paura di urlare a squarcia gola le sue fragilità e le sue necessità, con violenza. In perfetto stile Peaky Blinders. E' stato dato però troppo poco peso all'elaborazione di una morte scampata per un soffio, allo stupro e alla depressione di questo personaggio, elemento che, considerata la sua indole libera e guerriera, sarebbe potuto essere un ingrediente dal sapore nuovo.
Ci sono molti spunti interessati in questa serie che sicuramente trovano un riscontro nella letteratura relativa a quell'arco temporale: la guerra è finita e ha portato via con se il vecchio mondo, ma nessuno riesce ancora a individuare quali sianoi nuovi valori e gli ideali in grado di sostituire i precedenti. La crisi esistenziale che l'Europa sta vivendo viene combattuta dalla frenesia con cui ci si sta rimettendo in piedi, con cui si sta ricominciando a vivere. La depressione, almeno fino al '29, sarà subordinata all'eccesso, a costumi spumeggianti e ad un eccitante proibizionismo.
Eppure fiumi di alcol, tonnellate di cocaina e uno sdoganamento importante del sesso non riescono a lenire il tormento del protagonista. Thomas Shelby non fa parte di quel mondo di eccessi, sembra usufruirne per noia, utilizzare la realtà che ha creato per cercare di anestetizzarsi nei confronti del suo stesso dolore, nei confronti della consapevolezza di essere incatenato ad una dimensione parallela dove soffia una tormenta che non trova mai pace.
Pure i cliché, o tutto ciò che ci potrebbe essere di convenzionale in una serie ambientata nel dopoguerra, non sembrano tali, perché filtrati agli occhi dello spettatore attraverso quelli del protagonista: tutto è pregno del dolore che si prova vivendo, infangato nel dramma di esistere, di scegliere di continuare a farlo
Perchè continui ad esistere, Thomas Shelby?
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