GUILTY PLEASURES
- Silvia
- 19 set 2019
- Tempo di lettura: 6 min

Quartetto di Joel Dicker + tazza di Darth Vader, giusto per non farci mancare nulla.
Bisogna fare un piccolo esercizio mentale e immaginare anche 'Gli ultimi giorni dei nostri padri' a far compagnia a questi tre romanzi, non ricordo a chi l'ho prestato e mi assumo quindi piena responsabilità per un suo eventuale mancato ritorno.
Joel Dicker è uno scrittore dalla grande tenacia, ha dovuto scrivere ben 5 diversi romanzi prima che uno venisse selezionato per essere pubblicato (gli ultimi giorni dei nostri padri, arrivato comunque in Italia con 5 anni di ritardo). In seguito, con 'La verità sul caso Harry quebert', ha riscosso un successo tanto grande quanto raro nel mondo dell'editoria libraria, vendendo una quantità strabiliante di copie e garantendogli il Grand prix du Roman nel 2012.
Ho finito pochi minuti fa 'La scomparsa di Stephanie Mailer', romanzo che pazientemente ha alloggiato sopra il mio comodino per più di un anno in attesa di essere letto, surclassato da testi che hanno goduto di una certa priorità poiché più di spessore.
Ogni tanto ho bisogno di mettere da parte la mia voglia di perseguire tramite la lettura la via dell'erudizione e fare una deviazione verso qualcosa di leggero, un libro non necessariamente di alto calibro culturale e didattico, in poche parole, un libro che sia avvincente e sticazzi. E con Dicker lo si sa dal principio, che non si può sbagliare.
Nella tranquilla cittadina di Orphea nel 1994 avviene un quadruplice omicidio, la cui indagine porta ad un verdetto indiscusso. Tutto ciò viene però messo in discussione, a distanza di vent'anni, da una brillante aspirante giornalista e scrittrice, Stephanie Mailer, che come si può perspicacemente evincere da titolo del libro, non fa una bella fine.
Quest'autore ha un incredibile talento nel rendere estremamente avvincente qualsiasi cosa venga partorito dalla sua penna, anche il frutto di una trama così apparentemente banale.
Ciò è sicuramente favorito dall'incastro strategico dei diversi punti di vista dei personaggi che popolano la storia, così come dall'intreccio spazio-temporale che, molto fluidamente, fa scivolare l'attenzione del lettore da un ventennio all'altro, mantenendolo però sempre sul filo del rasoio. Questa tecnica indubbiamente non è una novità stilistica, così com'è indubbio però che serva una certa dose di esperienza e furbizia per metterla in atto in maniera efficiente. Il rischio infatti è quello di sovraccaricare la mente del lettore dando come risultato un'eccessiva pesantezza della narrazione, cosa che non avviene, in quanto quest'ultima è abbattuta dalla scelta di fare economia in merito a dettagli e sintassi.
Tradotto: non troppe orpellosità inutili e niente periodi di 5 righe.
Dicker ha successo per due ragioni principali: ha una fantasia e una capacità di partorire intrecci incredibili e soprattutto non ha la pretesa di strafare.
Un poliziesco non deve avere la pretesa di mescolarsi con altri generi, a meno che non voglia rivelarsi un fiasco totale, un mosaico grottesco. Non deve avere la pretesa di fare la morale al lettore, tramandare conoscenza, o evocare languidi sentimenti. Un poliziesco deve semplicemente raccontare una storia, far evadere il lettore dalla realtà monotona in cui probabilmente sta vivendo, turbarlo, farlo rabbrividire, proiettarlo in un contesto tanto macabro quanto eccitante. Un poliziesco è, sostanzialmente, un guilty pleasure.
Il motivo per cui esso deve rimanere tale non è tanto perché abbia l'ossessione di una categorizzazione statica ed immutabile del vari generi, anzi, sono sempre stata a favore della sperimentazione letteraria, ma è anche vero che sperimentare prevede anche ricercare un nuovo equilibrio tra i vari nuovi ingredienti che andranno a comporre il romanzo, e spesso questo non viene raggiunto. Si perde sempre troppo spesso di vista quanto sia meglio una semplicità curata, studiata e forte nei suoi capisaldi rispetto ad un minestrone di stili e di artifici retorici, innovativi magari, ma fallimentari. Quelli che mi piace chiamare 'polizieschi rosa' o 'insulti al romanzo psicologico' o 'morte dell'intreccio' sono alcuni esempi di porcherie che vedono la luce, e che non dovrebbero, in seguito a sperimentazioni fallite ma credute di valore da ego smisurati di scrittori piccoli e dalla sete di soldi di editori affamati. (ndr, che poi, paradossalmente, vendono).
Exursus tralasciando e tornando al nostro romanzo, possiamo evidenziare molte caratteristiche simili a verità sul caso Harry Quebert: Il gap temporale che permette il confronto tra 'quello che successe' e 'quello che è effettivamente successo', l'ambientazione, una piccola località balneare americana, un tessuto sociale semplice e standardizzato che comprende quindi tutte le figure classiche che popolano questo tipo di location (sindaco, corpo di polizia, commercianti, ristoratori, l'arricchito di turno e il ricco di nascita) con l'aggiunta di qualche outsider proveniente da località ben più abbienti ma pur sempre in fuga da 'qualcosa' (Harry e Marcus, Anna e Steven).
Lo scenario di partenza è sempre un idillio che viene sfigurato dal trauma di eventi catastrofici e che quindi, per contrasto, contribuisce, senza che l'autore debba sprecarsi in troppi dettagli e descrizioni, a diffondere nella mente del lettore un angusto presagio di discomfort costante, sicuramente amplificato dai continui, ma non bruschi, plot twists che disorientano il lettore ogni qual volta gli sembri di intravedere uno spiraglio di verità.
Mi sono interrogata parecchio sul quale sia stato il discriminante per il successo di Dicker.
Lui non ha la presunzione di partire da un contesto sociale già dal grande potenziale (un manicomio, una grande città in lotta costante contro la criminalità, un contesto di tensione a priori come potrebbe essere un dramma familiare o lavorativo), ma crea la sua magia a partire da uno scenario di partenza che, di fatto, è una noia mortale.
I protagonisti e le comparse sono persone normali, spesso con nessuna caratteristica particolarmente esaltante o con personalità fuori dal comune (fatta eccezione forse per Barnasky, che però consideriamo come esterno per ovvie ragioni). Ci aggiriamo tra personaggi apparentemente noiosi che si riveleranno poi molto più calcolatori e disonesti di quanto non ci si aspetterebbe.
Non ci imbattiamo, se non altro stando alla prima impressione, in psicopatici, reietti, scarti della società o malfamati. Ogni anima di Orphea, o di Aurora, è un potenziale nostro vicino di casa.
Un ruolo centrare è sicuramente occupato dal 'segreto' come denominatore comune dell'esistenza di ognuno. Il crimine è un crimine compiuto da persone normali, umane, deboli, corruttibili, schiave della tentazione, dei vizi, delle pulsioni ma soprattutto del senso di colpa.
Niente a che vedere con gli scenari di Jo Nesbo, il più valido autore di thriller sul mercato, dalle trame intricate, i cambi repentini di location, l'eccedenza di dettagli, la dinamicità estrema. Jo Nesbo attrae perché dipinge scenari in cui evadere per sentirsi rapiti un racconto verosimile ma incredibile, Joel Dicker attrae perché ci si sente rapiti in un contesto da cui non si riesce ad evadere, perché anche troppo credibile.
Sottolineo un aspetto che ho molto apprezzato un questo romanzo, ossia l'approccio allo scandalo. Non vengono ricamati dialoghi pretenziosi o riflessioni profonde in seguito ad uno Steven adultero, ad una Dakota tossicodipendente o ad una Miranda ex prostituta, anzi. Questo tipo di scandalo è sottoposto al giudizio del lettore più che a una gogna sociale da parte degli altri personaggi. Certi giudizi impliciti è giusto che vengano dati per scontati senza lanciare troppe frecciatine di stampo moralistico al lettore, che è perfettamente in grado di elaborare ciò in cui è incappato.
Un aspetto negativo di questa economia di dettagli e sintassi di cui ho parlato precedentemente non è esente da risvolti negativi. C'è un'assenza quasi totale di descrizione dei personaggi nella loro fisicità, non ci sono nasi prorompenti, occhi dai colori brillanti, lunghe chiome bionde, labbra sottili o fianchi larghi. Orphea e Aurora sono popolate da uomini senza fisicità e senza volto. La caratterizzazione dei personaggi invece è sicuramente intelligente ma non particolarmente approfondita. Questo porta all'avere una chiara idea del tratto distintivo di ogni cittadino, che viene esplorato a dovere, ma un'idea molto vaga riguardo le ulteriori loro sfaccettature.
La scomparsa di Stephanie Mailer è forse un po' troppo simile a Verità sul caso Harry Quebert, il che ha esaltato ancor di più la mancanza di un personaggio forte e bizzarro come il sovracitato Barnasky. Questa somiglianza inoltre sottolinea quanto tra i due romanzi non ci sia partita. Harry è nettamente migliore da qualsiasi punto di vista.
A questo proposito vorrei spendere due parole riguardo l'approccio aforismatico dei capitoli del suddetto. E' una buona trovata editoriale, innovativa per questo genere, curiosa, ben integrata con la trama e pertanto non fuori luogo. La si può però giudicare come una nota di merito solo se la si contestualizza, interpretandola come parte integrante dello svolgimento della storia, ossia un insieme insegnamenti che un povero vecchio, in maniera anche un po' mediocre e scontata cerca di dare al suo allievo e non al lettore.
Dubiterei della mancanza di innovazione da parte dell'autore se non fosse per il suo primo romanzo, gli ultimi giorni dei nostri padri, che, nonostante sia sicuramente meno avvincente degli altri tre, ritengo il più valido. E' infatti un romanzo storico ambientato durante la seconda guerra mondiale che ha la caratteristica peculiare di essere di una dolcezza rara. E' un romanzo che riesce ad evocare una smisurata tenerezza, quasi paradossale, considerato il contesto.
RIASSUMENDO
La mia anima culturalmente snob un po' soffre nell'ammetterlo, ma ho divorato queste 700 pagine in meno di tre giorni.
Sul quanto sia avvincente non c'è nessun dubbio, su come possa arricchire un romanzo del genere, molti di più. E' anche vero che un lettore che si imbarca in questo tipo di lettura non dovrebbe partire con l'aspettativa di ricevere l'illuminazione divina o la catarsi dell'anima.
VOTO 5,5 troppo simile a verità sul caso Harry quebert, ma più scadente.
NB: Non sono presenti particolari riferimenti riguardo il libro dei Baltimore semplicemente perché è uno spin-off di verità sul caso Harry Quebert. Trama e sviluppo sono prevedibilmente ingegnosi, ritengo però che non ci siano ulteriori considerazioni da fare, nulla, per lo meno, che non si evinca da quanto è già stato detto.
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